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Questo lasciare andare tutto così come viene alcuni lo chiamano spontaneità, io invece penso che sia completo dominio dell'istinto, zero crescita. Che vantaggi vedi tu, sia per te stessa che per gli altri, nell'esternare le emozioni negative? |
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Comunque non sono una persona che si lascia dominare dalle emozioni negative, mi succede che le esterno solo quando non ce la faccio più a trattenerle, in questo caso forse non riesco a lavorarci su... Grazie comunque per averlo ripetuto, mi hai fatto riflettere. :C: |
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Parliamo di trattenere. Forse non è il termine migliore che si possa trovare, in ogni caso si tratta sia di non reprimere sia di non esprimere. Anzi, esprimere e reprimere sono due facce della stessa medaglia, sono in fondo la stessa azione... in una caccio dentro fino a non sentire, nell'altra caccio fuori fino a quando non sento più. Lo scopo occulto (nel senso di inconsapevole) di entrambi è non sentire. Non sentire roba mia. A discapito di me e degli altri (in entrambe le versioni, anche se i modi del discapito sono diversi). Trattenere le emozioni negative è il primo passo per trasformarle, oltre che un ottimo e indispensabile modo per conoscersi e conoscere i propri meccanismi. Perchè trasformarle? Perchè trattenendole, mi trasformo io. Trasformo i mei meccanismi, cambio le mie azioni, smetto di fuggire da quello che provo e imparo invece a dominarlo, a dominare me stesso. Anche attraverso la "sofferenza" di trattenerle, perchè trattenere è sentire e sentire viene spesso vissuto come sofferenza, almeno finchè qualcosa non cambia in noi (come il modo di vedere le cose per esempio). Trattenere le emozioni, dato che le emozioni sono energia, è trattenere tenzione, pressione. Questo aumenta la nostra capacità di resistenza (la portanza del tubo se le emozioni sono acqua). Maggiore sarà la resistenza maggiore sarà l'energia che domino e maggiore energia significa altre emozioni, altri tipi, mollto più reali delle emozioni negative (che per me non sono neanche vere emozioni). Questo grossomodo... poi sono sicuro che altri troveranno cose da aggiungere... ben venga. Adesso forse il discorso torna un po' di più anche a Filou... in fondo quello che ha detto non è così diverso da questo. Un po' diverso si, ma non così come può sembrare. |
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la parola era prevista in un contesto di risposte precedentemente date, comunque "sopportare" inteso nella sua accezione primaria è soffrire, sostenere un disagio. mi domando perchè dovrei reprimermi nel dire la mia opinione a qualcuno che la pensa in maniera diversa, se poi, come dice stella, mi vergogno o provo disagio ad esternarmi potrebbe significare che non ho stima di me, che mi porto dietro dei problemi...perchè reprimersi? a chi giova?
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Sto sostenendo che la repressione non va bene, fa male, eccettera e sto dicendo che a mio avviso va evitata. Basta leggermi perchè risulti evidente. La mia domanda nasceva dal fatto che, da quel che dici, sembra che sopportare e reprimere siano la stessa cosa o che una impliichi necessariamente l'altra. Mentre, a mio avviso, sono due cose ben diverse e difficilmente compatibili. Se sopporto, come dici tu, soffro quindi sento. Se reprimo non sento. Sull'esprimere un'opinione siamo fuori tema a mio avviso, non c'entra nulla con il trattenere le emozioni negative. Io posso comunicare un mio pensiero senza vomitare addosso, o semplicemente esprimere, quello che provo. Le emozioni e i pensieri sono due cose diverse. Anzi, se esprimo quello che penso in modo consono, controllato, dopo aver quindi mediato l'impulso immediato dettato dalll'emozione, questo significa che necessariamente ho trattenuto. Altra cosa, solo per pignoleria. Non si può reprimere se stessi ("perchè dovrei reprimermi?") ma solo manifestazioni di se stessi, quindi parzialità. Altrimenti non ci sarebbe nessun "io" che reprime. Quel che mi interessa, se ti va, è se sei d'accordo o meno sulla differenza tra trattenere e reprimere e se la indicheresti in altro modo o con termini diversi. |
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Poi stringo i denti vabbeh, ma il sistema è già partito. Presente un lanciafiamme dagli occhi eh? piango.gif fiori.gif |
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Ma no, figurati, che pignola...
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Beh, alla fin fine sei d'accordo con me quindi, anche se non lo dici direttamente. O forse non avevi letto bene. Apri pure dove vuoi, comunque ormai qui ne stiamo parlando... |
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L'obiettivo non è non provare sentimenti negativi (anche se...) ma non lasciarsi dominare da essi se e quando si presentano. Poi si potrebbe sostenere che sono loro ad essere innaturali, ma è un altro discorso. Non ho capito bene cosa intendi con la necessità di rimuovere ciò che ci rende infelici... detta così non la condivido, dato che a renderci infelici è sempre qualcosa di interno e la rimozione di parti di noi non è proprio tutta salute. Direi che invece quei vissuti vanno integrati. La confessione era molto più potente della psicoanalisi, non fosse altro per le qualità che venivano conferite al confessore. Le terapie analitiche comunque mirano ad integrare, non a rimuovere. |
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farci del bene. la causa delle negatività può essere cercata dentro noi e questo deve necessariamente portare alla messa a nudo dei problemi, mai nasconderli e reprimerli ma comprenderli e conviverci( in questo senso rimozione), se riusciamo a conoscere le cause del malessere forse lo possiamo curare, se di contro lo teniamo a bada soltanto controllandolo cova sotto e potrebbe manifestarsi in atti incomprensibili e angosciosi. l'autocontrollo, all'inglese, non ha mai dato buoni risultati, la persona più controllata è quella che più facilmente esplode in gesti di isterismo, spesso inspiegabili |
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Ognuno è libero di usare i termini come gli pare, ma rimozione non è quella cosa che hai descritto. Se rimuovo non ci convivo, ma segrego nell'inconscio e lascio che agisca a mia insaputa. Qualcosa che, vuoi tramite analisi vuoi in altri modi, è emerso al conscio e ho trovato un modo per convierci in maniera adattiva è integrato (o in processo di integrazione) non rimosso. Il vero controllo è altra cosa (c'è un paio di tread appositi se ti interessa l'argomento), cum-trollo - rotolare insieme - è qualcosa si assai simile a "cavalcare la tigre" piuttosto che a rigida repressione comportamentale. Indipendentemente da quel che si vede all'esterno. Possiamo definirlo come una collaborazione con gerarchia il vero controllo. Sconosciuto ai più... che per mancanza congenita di esso sviluppano il controllo degli altri o della realtà (nei casi patologici), illusione che porta appunto a rimozioni, scissioni, proiezioni e via scoppiettando fuori. |
ok per il termine "rimozione" potrei usarlo in modo improprio, comunque il concetto che volevo esprimere è giusto quello di riportare alla luce il problema, oggettivarlo e imparare a conviverci (mi sembra che tale processo tu lo chiami "integrazione".
per il vero controllo potresti inviarmi quei tread che citi, mi piace leggere e sono sicura che per continuare a discutere sull'argomento dovrò approfondire il concetto di controllo così come tu lo concepisci, grazie e a presto, patrizia |
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Uno dei sistemi, forse il migliore, per riportare alla luce il vero problema, consiste proprio nel trattenere le emozioni negative. E' solo trattenendo che posso risalire al mio tratto che è l'origine vera del mio vissuto, diversamente crederò sempre che l'origine sia esterna. Esempio scemo, crederò che l'origine della mia rabbia sia il vigile che mi multa (e mi convincerò che devo convivere col desiderio di ucciderlo) quando l'origine è, diciamo sempre per esempio, la mia pigrizia (rimossa, adesso si) nel cercare posteggio. Ma per scoprirlo devo trattenere la rabbia, sentirla ben benino, non lasciarmi trascinare dal pensiero istintivo nutrito dalla rabbia che cerca di giusitificarmi (eh, poteva anche non darmela la multa, al tizio prima non l'ha data, piove dove dovevo mettermi, governo ladro) che poi è controllo vero e cercare in me l'origine del mio comportamento. Trovata, grazie al trattenere, potrò vedere cosa riesco e voglio modificare nel processo di integrazione che seguirà. |
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vorrei dare una nuova chiave di lettura del fenomeno . Non e' farina del mio sacco ( come tutto quello che diciamo sostengo spesso) ma vale la pena parlarne , a grandi linee , caso mai approfondiamo : il trattenere e' l'arresto consapevole di un impulso effettuato dal sistema muscolare volontario del corpo sotto controllo della mente. Solo l'azione dell'impulso e' bloccata si resta consapevoli del desiderio cioe' dell'impulso e del sentimento relativo. Il reprimere e' il cacciare l'impulso sotto la superficie muscolare del corpo .In questo caso si perde contatto con l'impulso e quindi col sentimento ma ancora c'e' il ricordo di esso . La rimozione e' la perdita anche del ricordo del sentimento che genera l'impulso che va a finire nell'inconscio . Dunque l'impulso viene represso , il ricordo dell'impulso viene rimosso . Mentre il trattenere e' cosciente, la repressione non lo e' e questa e' il risultato del prolungato trattenere dell'espressione dell'impulso e quindi del sentimento. Quando il trattenere diventa abitudine questo e' l'effetto : la repressione. Ma poiche' il trattenere CONTINUO comporta un arresto del movimento muscolare che esprime l'impulso, si genera una tensione muscolare cronica ed una conseguente desensibilizzazione di quella parte del corpo che deve esprimere l'impulso . Questa desensibilizzazione ha poi un effetto sul funzionamento di tutto il corpo, ne riduce il movimento e quindi la respirazione . Cosi' il corpo perde energia compromettendo tutti gli impulsi ulteriori . La depressione e' l'ulteriore conseguenza intesa come perdita della forza interna del corpo , forza che e' il flusso continuo di impulsi e sentimenti dall'interno del corpo verso l'esterno attraverso il movimento muscolare . Nel depresso la prima cosa che appare e' che non si muove . Mi fermo . Respirazione , movimento , espressione portano altri argomenti ( ad esempio alla meditazione ) . E' un altro modo di vedere il trattenere . Si tratta della bioenergetica di Reich e Lowen . sembra in opposizione al '' non esprimere emozioni negative ' di Gurdjeff . Mi sembra intreressante potremmo approfondire e personalizzare . |
Con calma ci torno... Lowen mi è sempre piaciuto poco, però è ben interessante approfondire la questione.
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Mi sta bene che il trattenere è cosciente e la repressione no, ma che dal trattenre si debba necessariamente produrre repressione beh, mi pare per lo meno azzardata la cosa. Finchè resto cosciente sto agendo, se agisce un'abitudine non sono più cosciente. Finchè sono cosciente non reprimo. |
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Per questi pensatori e' il movimento del corpo cioe' l'impulso espresso che genera il sentimento , l'espressione da dentro a fuori. Ma in tutte le cose e' cosi' , l'abitudine nasce dalla ripetizione di comportamenti volontari . |
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(tra l'altro sto ridendo tra me e me perchè ora capisco perchè ho rispolverato Lowen e Reichicon_mrgr:) Nelle palestre dove si seguono questi insegnamenti aiutano le persone ad aliminare queste tensioni (?) scaricando la rabbia ed impulsi con il corpo, ci sono attrezzatture nate proprio per questo uso, adesso non sto qui a nominarle. E devo dire che ho anche eseguito una o due di queste tempo fa. Il punto è credo, che se non mi accorgo del "quando" e del "come" poi ok posso andare a scaricare, però mi pare un "gioco" tra riempio e svuoto. Non so. Però mi domando se per alcuni aspetti possa servire a svuotare almeno. Tra l'altro oggi ci sono un sacco di tecniche che aiutano a "svuotare" ma il punto è che una volta svuotato dovrei non continuare a riempire. Alla fine se non si passa dall'osservazione è tutto inutile o minimale. Ad esempio a pare di aver osservato che ogni volta che reprimo l'impulso di far partire uno schiaffone mi viene dolore al braccio destro, poi ok posso andare a picchiare e svuotare contro ad un muro su cui è stato messo del polistirolo, ma se l'impulso non cambia dovrò avere sempre un muro... a disposizione. Comunque al contrario di Ray a me sia Reich che Lowen piacciono se non altro perchè spiegano cose in modo semplice anche se trovano una soluzione che non è definitiva. :C: |
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Si, c'è un passaggio graduale, e inoltre c'è una differenza tra il trattenere di Lowen e quello di Gurdy. Quello che descrive Lowen è in effetti il prodromo della repressione. Sono i moti corporei chemi permettono di trattenere l'impulso comportamentale e la descrizione è azzeccata soprattutto nelle prime volte che uno fa così, probabilmente quando appunto impara a reprimere e cioè in età giovanile. Però, anche se c'è una certa volontà di farlo, io non la definirei coscienza, almeno non la stessa coscienza che si deve usare per il trattenere di Gurdy, quello di cui parlavamo, che poi è scarsamente corporeo, o lo è ma in termini diversi. Lo scopo di questo tipo di trattenere è l'eliminazione della sensazione derivata dall'impulso che voglio frenare. Non è presente la coscienza e la volontà di viversi l'emozione senza lasciare che diriga il mio comportamento. Questo tipo di trattenere, quando il centro motore lo assimila, diventa appunto abitudine e, richiedendo sempre meno l'apporto della volontà cosciente per venire in atto, diventa repressione. Questa differenza può essere uno dei motivi dello scarso comprendonio che generalmente si ha di Gurdy (e del mio essere dubbioso sulla scelta dei termini) oltre che dell'atteggimanto sospettoso che le sue indicazioni generano. Tuttavia il trattenere che lui consiglia è ben diverso dall'innescare una meccanica corporea di risposta agli impulsi che generei una difesa di tipo rimozionale. Al contrario si tratta di impedirsi la fuoriuscita dell'energia dell'impulso e dell'emozione (nella misura in cui si fa in tempo) e di costringersi a viverla, in modo da trovare un'adattività al suo fluire. Insomma incanalarla. O "allargare il tubo" usando una metafora che gira abbastanza. Non sono però sicuro che si veda ancora la differenza. |
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Cioè se sento che deve uscirmi 100 (la metto in numeri per renderla più veloce e rappresentabile) e io tento di trattenere interamente anche se il mio limite è solo di 20, duro qualche minuto o forse qualche ora, ma poi mi esce tutto (e forse mi esce anche più di 100 perchè esce anche roba antica non risolta magari). Se invece, conscio dei miei limiti, trattengo solo 20, posso lasciar uscire quegli 80 rimanenti senza perdere i miei 20. Ad ogni modo, entrambi i modi sono utili, anche il primo sebbene il secondo lo ritengo migliore. Nel primo infatti, mal che vada mi esce tutto, ma se non tento neppure di trattenere l'emozione negativa mi esce sempre uguale. Non può insomma andarmi peggio. O mi va uguale, o mi va meglio. E anche se mi va uguale (cioè resisto pochi minuti e poi sbotto tutto fuori) comunque quei minuti di resistenza sono "miei", ho faticato, ho fatto allentamento, poco magari ma mi sono rinforzato. L'unico vero rischio nel primo caso è lo strappo, esattamente come uno strappo muscolare quanto tento di alzare un peso eccessivamente maggiore del peso che posso alzare. Ad ogni modo, qualsiasi sia il modo che uso per trattenere le emozioni negative, è sicuramente migliore che il non tentare di trattenerle affatto.... |
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Per un uomo che riesca in tale impresa, l'arrabbiarsi diventa un fatto di coscienza, viene fatto volontariamente e non più meccanicamente quando cioè risponde come un automa a determinati stimoli. Solo una cosa non sono d'accordo con te, e cioè che il passaggio sia fra il trattenere e il reprimere. Il passaggio, come detto sopra, secondo me è solo fra un fatto automatico e un fatto volontario. C'è tutto da guadagnare e nulla da perdere. Si diventa liberi. Alla fine di questo percorso infatti non c'è più il "problema" di trattenere" un qualcosa che sentiamo voler uscire, i termini si invertono e saremo noi, secondo volontà, a scegliere a monte cosa, come e quando deve uscire. Se all'inizio insomma ci troviamo alla foce del fiume, e cerchiamo di arginare alla meno peggio il flusso che ci arriva impetuoso, alla fine saremo alla sorgente (saremo LA sorgente) e saremo noi a scegliere liberamente cosa versare all'esterno... Un lavoro titanico certamente, ma da qualche parte se si vuole bisogna pur cominciare.... |
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